mercoledì 13 ottobre 2010

Quatordzemes!


Prima di cominciare la vendemmia eravamo preoccupati e un po' delusi dall'annata. La stagione sempre in ritardo, un Agosto ed un inizio Settembre prevalentemente freddi, un raccolto che sembrava molto abbondante: tutto lasciava presagire una qualità modesta, e consigliava ad accettare un pétit millesime. E le voci che arrivavano dai vicini erano allarmanti: gradazioni così basse non si vedevano da molti anni. Così non credevo ai miei occhi quando ho provato i primi mosti con il vecchio mostrimetro Baumé: quattordici e mezzo! Anzi, quatordzemès, come esclamavano i miei vecchi contemplando quella gradazione strepitosa che ritenevano indispensabile ed irrinunciabile per fare un vero Moscato di Canelli. Visti i presupposti e le aspettative, un piccolo miracolo. Che però ha una sua spiegazione logica. Agli inizi d'Agosto, quando le uve avevano iniziato l'invaiatura, avevamo sospeso come di regola i trattamenti con lo zolfo in polvere contro l'Oidio. Non ci siamo resi conto, però, che su ogni grappolo solo una parte degli acini aveva avviato la maturazione; la restante era ancora decisamente indietro a causa di una fioritura avvenuta in più riprese. Ecco, molti di quegli acini verdi sono stati attaccati dall'Oidio, mai così tardivo; che però, contrariamente al solito, non li ha crepati rendendoli simili a tristi campanelli legnosi: si è limitato a farli appassire lasciandoli piccoli ma integri come chicchi di uvetta Sultanina. E' stata una specie di diradamento naturale: i grappoli così alleggeriti hanno potuto maturare alla perfezione; e grazie al tempo fresco, hanno conservato come non mai la dotazione degli acidi e degli aromi. Al prezzo, va detto, di una vistosa riduzione della quantità prevista; che però era talmente abbondante in partenza, da rimanere comunque sugli standard di una normale vendemmia delle nostre.
Ricapitolando:

il Moscato è quello che ha fatto il maggiore exploit qualitativo: alla ricchezza zuccherina si accompagna una bella freschezza e finezza degli aromi; una struttura potente e solare, ma soavemente elegante. Un Moscato " Canelli style" come da tempo non si vedeva.

Il Dolcetto, pur avendo un'ottima gradazione, ha un'acidità più elevata del solito, ed un po' meno intensità del colore e ricchezza di struttura . Temendo eccessi di tannicità verde e di astringenza gli ho fatto una macerazione breve, di soli dieci giorni. Spero in un vino fresco e molto piacevole.

Nei bianchi, prodigiose le varietà precoci; buono, fresco, diretto e minerale il Cortese. Vedremo il risultato degli assemblaggi.

Delle Barbere bisogna dire qualcosina in più. Anche loro erano molto in ritardo, e a metà Settembre avevano ancora acidità molto alte. Poichè ODIO praticare la disacidificazione (mi sembra uno stupro, un'inutile violenza) l'unica cosa da fare era aspettare. Aspettare malgrado le due forti piogge di inizio Ottobre. Alla fine, sempre per paura del tempo, ci siamo messi a raccogliere a partire dall'8. L'uva, davvero, era bellissima: formidabile per il colore, e per l'integrità e la carnosità della buccia, così insolita in questa difficile varietà. Ecco, le piogge hanno un po' abbassato la gradazione, senza peraltro compromettere la struttura, la completezza e l'equilibrio: secondo me alla fine sarà ai livelli del formidabile 2001.

Nel complesso, quindi, un'ottima vendemmia e un'ottima annata!

mercoledì 15 settembre 2010

Les jolies vendangeuses



Silvanemangano
delle vigne alla fine di una dura giornata di vendemmia.
(Cliccare sulla foto per ingrandire)

sabato 11 settembre 2010

Under pressure


La vendemmia per me comincia ben prima di raccogliere l'uva. Comincia quando mi calo nella pressa per pulirla alla perfezione dalla polvere, dalle incrostazioni, da tutto quello che può esservi entrato in un anno di inattività. E' un lavoro sempre uguale a se stesso, e consolante. Quando lo fai, quando ripeti esattamente i gesti dell'anno prima, e di quello prima ancora, e via via per chissà quante altre vendemmie, ti illudi che il tempo non proceda lungo una retta, ma che percorra un cerchio; un continuo partire, ed un inevitabile ritornare.
Come diceva Montale, " E' un volo. E tu dimentica, dimentica la morte". La pressa, da dentro, è un grande archetipo rutilante d'acciaio: Caverna, Utero, Cucurbita. Terribilis est locus iste, se pensi che una buona metà della tua esistenza è passata da lì dentro, e uscita e sgrondata e sgocciolata fuori assieme ad ogni singolo centilitro di mosto. Meglio se non ci pensi; meglio se ci dai dentro con l'olio di gomito senza guardarti indietro. I vecchi parlavano di luoghi stregati dove " ci si sente", dove senza volerlo chi ci capitava spalancava gli occhi su se stesso, e capiva tutto; spesso non reggendo l'impatto violento della consapevolezza. La pressa è uno di quei posti.

"...e la vita la vita, si fa grande così
e comincia domani

Dove sarò domani? Dove sarò?

Dove sarò domani che ne sarà dei miei sogni infranti, dei miei piani
Dove sarò domani? Tendimi le mani, tendimi le mani
!

Ma domani domani, domani lo so,
lo so che si passa il confine.
Tra le nuvole e il mare, si può fare e rifare;
con un pò di fortuna si può dimenticare.
..
E comincia...domani! "

martedì 7 settembre 2010

Ritorno


Ritorno, perché fra pochi giorni si vendemmia. Ritorno, perché anche se sembra ieri è passato troppo tempo dall'ultima volta che son stato qui.
Ritorno, perché ... "io ne ho... viste di cose... che voi umani non potreste immaginarvi...Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione...E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser....E tutti quei... momenti andranno perduti nel tempo...Come... lacrime... nella pioggia...".
Ritorno, perché di quelle lacrime nella pioggia possa almeno lasciarne una labile traccia.
Ritorno, perché stamattina ho parlato a lungo con Helena della Colombaia
ed l'ho sentita triste per le disgrazie atmosferiche che le hanno compromesso la vendemmia, ed insieme abbiamo parlato di quanto sia difficile la nostra scelta di vita; e parlando ci siamo fatti un po' di coraggio e ci siamo confortati, scoprendo che la nostra scelta di vita ci permette almeno di contare sull'abbraccio di amici che vivono come noi, che sentono e provano le stesse emozioni, gli stessi sentimenti.
Nella foto sono io, sgarrupatissimo, mentre dò lo zolfo a spalla nella vigna Vittoria che è un po' come la scala del Paradiso: faticosa, impervia, e ripidissima. E se non ne parlo qui, chi potrà mai sapere dello spasimo che ti prende agli ultimi filari, quando le gambe sembra stiano per cedere e la vista si annebbia? Quando ti chiedi chi te l'ha fatto fare, ma poi vedi l'Iperico fiorito, che sembra sorriderti, e senti che agli ultimi passi la terra sembra tornare piana, ed il passo farsi agevole e di nuovo baldanzoso. E allora capisci che il senso della vita è solo la vita stessa; che il senso di quello che fai è solo in quello che sei.
Abbiamo troppo pudore di noi stessi. Io, almeno, ne ho troppo. Prima di ogni vendemmia mi dico sempre che vorrei imparare a piangere, poi regolarmente non se ne fa nulla.
E mi tiro su con questo fado che adoro, dolce e salato e amaro come gli anni che sto vivendo.
Lo dedico ad Helena, ovviamente.